Intervista al prof Luigi d’Alonzo
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervista apparsa oggi su tempi.it al prof. Luigi d’Alonzo, ordinario di Pedagogia Speciale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Cedisma: Centro Studi e Ricerche sulla Disabilità e la Marginalità.
L’intervista dal titolo “Corsi Indire e continuità didattica degli insegnanti di sostegno. Intervista sulle proposte di Valditara a Luigi D’Alonzo, professore di Pedagogia speciale all’università Cattolica di Milano” è a firma di Giuseppe Beltrame.
«Luigi, voi italiani avete una grande responsabilità, perché siete il faro del mondo dell’inclusione”, queste parole mi sono state rivolte qualche tempo fa a Bruxelles da una collega tedesca, in un comitato di ricerca a cui partecipavano professori di tutta Europa».
A raccontare a Tempi l’episodio è Luigi D’Alonzo, professore ordinario di Pedagogia speciale all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, oltre che presidente della Società italiana di pedagogia speciale (Sipes), direttore del Centro studi e ricerche sul disagio e sulle povertà educative e autore di svariate opere sul tema
dell’inclusività in ambito educativo.
Negli ultimi giorni la comunità degli insegnati di sostegno è in fermento, da quando il 3 febbraio è stato reso pubblico il decreto ministeriale attuativo che applica il Dl 71/2024, voluto dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Il provvedimento prevede che le famiglie per favorire la continuità didattica, in accordo con i dirigenti scolastici, possano confermare per l’anno
successivo i docenti precari che durante l’anno hanno affiancato i loro figli. Questo sarà consentito con priorità assoluta sugli eventuali altri supplenti e sulle graduatorie ufficiali che ogni anno dettagliano gli insegnanti destinati alle varie classi.
Altro tema caldissimo per la categoria riguarda i corsi di specializzazione che permettono di accedere alla graduatoria per il ruolo. Ad oggi l’unico percorso consentito prevede la frequentazione, dopo aver conseguito una laurea magistrale -per le primarie obbligatoriamente in scienze della formazione, di un Tirocinio Formativo Attivo (Tfa). Si tratta di un corso universitario di nove mesi svolto obbligatoriamente in presenza e composto di lezioni teoriche, tirocini e
laboratori svolti all’interno degli spazi accademici e nelle scuole.
Con il Dl 71/2024 Valditara ha deciso di intervenire ampliando l’offerta formativa, vista la crescente richiesta da parte delle associazioni familiari e i numeri elevatissimi (64 mila, corrispondenti al 29,6 per cento del totale) degli insegnanti che svolgono tale attività senza titolo di specializzazione. Il ministro ha previsto l’introduzione di nuovi percorsi per accedere al sostegno, che saranno avviati già nel 2025 da Indire, ente di ricerca sull’educazione e l’istruzione del Ministero. I corsi prevedono il dimezzamento dei crediti formativi rispetto ai Tfa (60 per questi, 30 per i corsi Indire) e, di conseguenza, un minor impegno in termini di tempo, e una formula che si svolgerà completamente online. Potranno parteciparvi solamente i docenti con almeno tre anni di servizio su un posto di sostegno negli ultimi cinque e dovrebbero prendere il via, anche se non sono ancora state definite le modalità e i tempi precisi, nella primavera 2025.
Professor D’Alonzo, cosa ne pensa della bozza di legge che prevede la possibilità di richiedere la continuità didattica del docente di sostegno?
Non sono d’accordo, non credo che le famiglie, seppur animate dalle migliori intenzioni, possano scegliere l’insegnante per i propri figli. Se parliamo tanto di inclusione perché solo i genitori dei ragazzi con disabilità avrebbero diritto a richiedere la continuità didattica? Anche le altre famiglie potrebbero pretenderla, con il rischio di andare incontro a un cortocircuito. Penso inoltre, con tutta onestà, che i genitori non abbiano tutte le competenze per giudicare il lavoro di professionisti seri e preparati, come dimostrano di essere ogni giorno gli insegnanti di sostegno con il loro lavoro.
Il 24 gennaio Carlo Cottarelli e Gianmaria Olmastroni hanno pubblicato un report per l’Osservatorio sui conti pubblici italiani (Ocpi) che analizza i dati relativi al numero di insegnanti di sostegno in Italia. Il documento si pone in controtendenza rispetto alla comune idea che in Italia siano troppo pochi, sostenendo che sia necessario intervenire con un supplemento nella formazione, così da poter diminuirne il numero.
Il problema non è che gli insegnanti di sostegno sono troppi, ma che è in costante aumento il numero di ragazzi con certificazione. Con la legge 118 del 1971 in Italia abbiamo deciso di fare una scelta precisa, chiudendo le scuole speciali e inserendo i ragazzi con disabilità nelle classi comuni.
È stata un’esperienza esaltante, non per nulla, come ricordavo, siamo considerati un “faro” da seguire anche all’estero. Non condivido quindi per niente l’opinione di Cottarelli, penso che di scuola si debba occupare chi la conosce in profondità. I corsi di specializzazione sono tra i più formativi dal punto delle competenze che siano mai stati organizzati in università. I numeri parlano chiaro: 270 ore di lezione, 150 ore di tirocinio indiretto e 150 diretto, con ulteriori ore di laboratori e altre attività. Solo in università gli studenti trascorrono 600 ore con obbligo di firma.
Cambiando argomento, cosa ne pensa dei corsi Indire e sa qualcosa sulla data precisa in cui avranno inizio?
Non sappiamo nulla purtroppo, da parte delle istituzioni su questo fronte c’è un silenzio assordante che non mi spiego. A quanto ho inteso, non sostituiranno i Tfa. Del resto se vi è, come si riscontra dai numeri delle realtà scolastiche di tutta Italia, una carenza di insegnanti di sostegno specializzati è dovuto anche al fatto che il ministero dal 2011 ha indetto solamente 9 corsi di specializzazione sui quattordici previsti. Questo non ha tuttavia impedito alle università di permettere a oltre 200 mila insegnanti di specializzarsi.
I corsi Indire saranno proposti in forma on-line e con orario ridotto rispetto ai Tfa.
Anche di questo non mi capacito. Non mi sembra una proposta seria, per imparare bisogna avere la testa rivolta verso l’insegnante, con la possibilità di elaborare quello che ascolti in classe. Se sei a casa, magari con la telecamera spenta, tutto ti può distrarre, dal figlio piccolo alla padella su cui bolle la pasta. I ragazzi con disabilità non meritano questo, hanno bisogno di persone davvero
formate e appassionate di questo lavoro, non si possono rendere competenti le persone con questa modalità. Trovo poi assurdo che ad oggi non si sappia nulla sulle date e su quali professionisti terranno le lezioni.
Anche nel suo intervento al Meeting di Rimini di quest’estate ricordava che l’Italia è considerata un faro dell’inclusione. Perché?
Nessuno nel mondo ha un livello di inclusività pari al nostro. Nelle nostre scuole chiunque, anche se si presenta in corso d’anno, viene accolto. Oggi gli insegnanti si trovano a far fronte a situazioni
molto complesse, che comprendono disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento, molti studenti stranieri che conoscono poco la lingua e si prodigano in tutti i modi per venire incontro alle necessità degli studenti. Per questo bisognerebbe puntare ancor di più sulla formazione, non diminuire i corsi a 30 cfu.
Su questi temi lei si batte da anni, promuovendo con numerose pubblicazioni e incontri la necessità di una differenziazione didattica per gli studenti.
Fino a qualche tempo fa l’insegnante considerava i venti ragazzi della classe come un’unica testa. Non si può proseguire così. Gli educatori devono riconoscere i bisogni specifici degli studenti, pensando a proposte formative e piani di lavoro idonei per ogni allievo e mettendo in luce le potenzialità di ciascuno, anche solo con 3-4 progetti diversi per classe. Gli studi dimostrano che quando si agisce in questo modo cresce notevolmente la motivazione e l’apprendimento dei ragazzi.
Altro tema in cui lei ha sempre creduto è il valore della partecipazione alle attività didattiche della classe, per quanto possibile, dei ragazzi con disabilità.
Sì, questo è fondamentale sia per lo studente che per i compagni. Avere a che fare con un coetaneo con disabilità è fonte di grande crescita, permette ai giovani di riconoscere i propri limiti, non dando nulla per scontato. Possono prendere coscienza visiva del grande tesoro che il Signore ha donato loro e della fortuna che hanno ricevuto gratuitamente. Anche il bambino con disabilità nel confronto con gli altri è stimolato e portato a riconoscere il proprio limite e a portare al massimo livello le sue potenzialità. Credo che su questo si giochi la grande scommessa educativa del nostro tempo, far capire agli studenti che le loro limitazioni ci sono, ma possono essere superate e arginate.
Cosa le rimane dopo tanti anni dedicati alla pedagogia e all’educazione, impegnandosi in particolar modo per i ragazzi con disabilità?
È stato un bel viaggio, entusiasmante e gratificante. Ho ricevuto di più di quanto dato, ma soprattutto è stata un’avventura sempre scaturita dalla convinzione che noi dobbiamo essere una benedizione per gli altri. E per fare del bene ho cercato sempre di essere competente e
preparato nel mio lavoro.
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ph. Fonte ANSA per tempi.it